La ragazza con la pelle di luna

La ragazza con la pelle di luna

Sono giorni fantastici, alacri, affannosi, pazzi e scombinati, un compleanno di una bimba di 5 anni, che ha voluto una torta fatta di cupcakes rosa e una pioggia di ciambelle con glassa e sprinkles rosa, meringhette rosa shocking e tovaglioli con gli unicorni, una festa di pensionamento di una mia cara cliente, chioma fluente blu elettrico,  bellissime rughe a raccontare la sua saggezza, ha riso tutta la sera in una maniera irresistibile, mentre passava tra i suoi invitati e raccoglieva aneddoti e ricordi da ognuno di loro e intanto sottovoce diceva: vado in pensione ma sono appena nata, sono nuova, nuova al mondo, sono nata senza paura, domani il mio primo giorno da pensionata sarà il primo giorno del mio risveglio, sarò l’imperatrice della mia vita, parto e vado a gustare bellezza e bontà nel mondo! Evviva, ma quanta fatica starle dietro!

Poi é quasi Pasqua, sapete cosa vuol dire per la mia torteria? Niente, perché io non preparo colombe nè so temperare così bene il cioccolato da creare uova di Pasqua, ma devo impastare e sfornare i dolci preferiti della mia clientela. Penso pure che forse faccio in tempo a candire arance per la mia irresistibile pastiera….vivo a Torino da tempo immemore, ma sono stata partorita a Napoli e quello é un guaio, non te lo togli più di dosso il marchio a fuoco, é troppo identitario nascere sotto quel cielo.

Insomma é frenesia, ma avete mai letto che nella mia torteria io resti seduta a riposare? Ho in mente una torta, ho in mente gli ingredienti, gli strati, i sapori, ma non riesco a strutturarla come vorrei.

Sfrego con una foga inutile e inappropriata un tavolo e mentre penso alla torta ancora in incubazione, sento il tintinnio della porta, entra la prima cliente del pomeriggio.

É una ragazzina, avrà sedici anni, anzi la guardo meglio, ne avrà già venti forse, ha la pelle di luna, gli occhi tanto grandi per lasciarti cadere dentro, ha pantaloni a zampa, una maglietta corta, come usa adesso, la pancia piatta a vista, fianchi acerbi, appena accennati. É bellissima, immagino sia la bambina adorata di una mamma orgogliosa, avrà una sorella, forse due, ma non fratelli, sembra appartenere a una discendenza tutta matriarcale, intrisa di sapienza antica e fantasie declinate in sogni, riti magici e formule segrete.
La guardo, lei mi guarda, la bocca a cuore, é un anime, non é vera, troppo perfetta, un soffio e vola, leggera com’è.
Mi chiede un cappuccino con una spolverata di cacao e due fette di torte.
Bene, penso che avere fame é segno di una vitalità effervescente, che scegliere una crostata di ricotta e visciole e una fetta di torta rocher sia da persona decisa, affamata di vita, di zuccheri e di anime uguali.

Al collo una catenina con il suo nome, Gaia, bello, é proprio il suo, tagliato su misura.
Ha capelli neri, lunghi, che la definiscono, la rendono ancora più figlia della luna, un’anima che emana una luce sottile, che racconta di solitudini profonde, di malinconie sanguinanti, di desiderio di trovare chi parli la sua lingua senza spiegare, senza aggiungere, senza urlare.

Il cappuccino é pronto, uso una mascherina vezzosa per farle un cuore di cacao, le due torte servite su due distinti piattini in porcellana, le due forchettine d’argento (vero, eh, che al balon si fanno certi affari!), uso un vassoio coperto da un pizzo antico, perché lei é una bambola di porcellana, delicata, fragile, eterea.

Cerco di disporre tutto con grazia sul tavolino di marmo, sono sufficientemente sicura che ami il bello e l’eleganza, così come sono sicura che non avrà la frenesia di farsi una foto, sorridendo e taggando la mia torteria. Lei non é uguale alle altre, non é uguale a nessuno, é una poesia che ancora dorme nel sonno di una poetessa, é un’anima che non sa acquietarsi, troppi sono i suoni stridenti di questa vita volgare, soffocante, bugiarda, prevaricatrice.

Lei ama le persone con le cicatrici, le riconosce perché fanno quel che fa lei e come lei trovano illogico questo mondo metaverso. Mangia la crostata, quasi con una fame eccessiva, inadeguata a una vita di benessere. Forse ha dimenticato di mangiare per giorni, mentre cercava di capire perché se é fatta di spirito, deve essere così ancorata alla terra. Beve il cappuccino questa volta con calma, quasi lo centellina. L’ha zuccherato, zucchero di cocco, aromatico, godurioso. Se lo gode, poi di nuovo, dall’eleganza di una tazza sorseggiata con grazia, prende la forchettina e la abbassa con forza eccessiva sulla torta, si stacca un grosso pezzo, grondante una crema di burro illegale e una texture di aria e mollica d’oro, lo infilza, lo mangia con una fame primordiale, si lascia intravedere nella sua essenza di animaletto selvatico. Forse lo fa per scandalizzarmi. Niente da fare, bimba, sei una meraviglia e non mi freghi, non ti prendo per una cliente indesiderata.

Sei quella che aspetterò tutte le volte per sentire quello che vuoi dirmi, un segreto, un silenzio, un dolore, una vittoria, una sconfitta. Dai, continua a fare l’assassina di torte, tanto la tua essenza é chiara come il sole, anzi come la luna. Bella la mia pelle di luna, mangia e guarisci i tuoi dolori, vorrei abbracciarti, ma aspetto che tu capisca che hablo la tua lingua.

Liberamente ispirato alla mia amatissima nipote Gaia

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Ho sognato di essere nel mezzo

Ho sognato di essere nel mezzo

Erano giorni fitti di boschi, pinete,
Acque di mare, di laghi, fiumi, cascate e fiordi
Un viaggio di piedi che affondano nella terra nuda, fangosa, di alberi solenni o giovani arbusti che a mille ti sfilano avanti, di alghe dall’odore greve, e barchette sonnacchiose che creano una macchia di colore su uno specchio grigio e senza creste, montagne brulle, orgogliose della loro nudità, prati rigogliosi dal verde brillante, armenti e greggi liberi al pascolo, cento, mille, e qualcuno in più.

Ho sognato nella casa sul mare, con le vetrate che ci hanno donato una vista senza eguali di libertà, pioggia e maestosità, ho sognato con gli occhi aperti, vigili, accanto il sonno sincero e abbandonato dell’amica della Terra e delle creature bisognose di Dio, ho sognato la danza in cerchio degli elementi della Natura e della Poesia, ho sognato di essere nel mezzo e di danzare leggera, libera, con una missione di bellezza da compiere.

Amelia De Simone- 18 maggio 2024

(All’amica della Terra – sull’isola di Skye)

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Io mia madre

Io mia madre

Io mia madre l’ho amata come amano i disperati.
Con dolore, come se ogni volta avessi un debito con lei, come se dovessi dimostrare ogni momento di essere stata degna di venire al mondo dalle sue doglie,
con l’angoscia di chi ha paura di non essere vista, i tremori di chi é terrorizzata dell’abbandono.

Io mia madre l’ho amata senza capirla, senza essere capita, come succede alle madri, alle figlie, la normalità, io mia madre l’ho amata con caparbietà, con rabbia, persino con furore, con cieca ostinazione.

Avrei voluto saperla aspettare, saper capire che stava diventando un frutto tenero, morbido di sole e di anni, che voleva conforto, qualche stilla di confidenza, un tono mio più sommesso, meno superbo, meno rapace.

La penso, gli occhi spurgano acqua, ma vorrei che le donassero sangue, il capo chino, senza pace, io mia madre la amo come i disperati.

Vorrei il perdono che spetta alle figlie che non sanno staccarsi dai propri dolori, che non sanno staccarsi dalla propria storia, che non sanno essere madri delle loro madri.

La vorrei in sonno, avere il capo sul suo grembo, e vorrei pettinare i suoi capelli bianchi, rassicurarla sulla sua bellezza e concederle non semplice amore, ma devozione che assolve.

Io mia madre la amo. La amo come amano i disperati

Amelia De Simone – 28 novembre 2023

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A volte, gli abbracci a volte

A volte, gli abbracci a volte

Quando il mondo fuori non é più radura che rinfresca i piedi, che accoglie il tuo corpo felice del contatto con l’erba e la terra e i fiori,
Quando la testa diventa china e cupi gli occhi, pieni di lacrime ricacciate a stento, e quando il dolore del mondo é il tuo e il tuo non é del mondo,
In quel momento abbracciami, fallo senza parole, muta la bocca, gli occhi pieni, pietà nel petto, e mano santa sul capo stanco.

A volte, gli abbracci a volte, sono la cura di tutti gli squarci, dove la parola diventa stupida e non sa combattere i capricci degli dei, gli abbracci salvano, basta aprire le braccia distratte

Amelia De Simone – 2 maggio 2020

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La prova

Domenica delle Palme

Signore, che ci hai dato questa prova così forte con questa malattia sconosciuta e invisibile, che ci fai camminare all’ombra del tuo calvario, che ci tieni al chiuso delle nostre case, che ci hai tolto al lavoro, agli abbracci, agli amici, ai giochi, all’aria aperta, alle meraviglie del mondo, ma tanto ci doni con il tuo amore, noi ci abbandoniamo a te, alla tua misericordia e ti salutiamo con le palme per accogliere il tuo passaggio.

La tua luce sia per noi cura e unguento, sia la guida per restare nella retta via dell’obbedienza e del sacrificio, sia la nostra forza e ci dìa speranza di giorni pieni di amore e vitalità

Amelia De Simone – 5 aprile 2020

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Speranza

Speranza

Le mani di Dio sono raggrinzite e gonfie,
non hanno mai avuto la grazia dei pianisti,
non sanno suonare né disegnare,
ma accarezzano tenere, calde come i nidi delle schiuse,
hanno la bellezza di carni senza talento ma solerti ad asciugare acque amare dagli occhi.

Il tempo oggi é scuro, sa di terra ferrosa, l’aria non preannuncia arie serene e cieli striati,
ma é un tempo di vita, é un tempo di cova,
da cui schiuderanno altri destini folgoranti,
altre vite felici, indomite, febbrili di sogni e innocenti chimere.

Le mani di Dio e le mie e le tue sono raggrinzite e gonfie,
impastano pani, scrivono pensieri segreti e poesie, pregano silenti, restano aperte per accogliere i giorni presenti di sangue e tremori, e quelli di domani,
ubriachi di gioia, di libertà e di speranza

Amelia De Simone – 31 marzo 2020

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Il Giardiniere di Dio

Il Giardiniere di Dio

Ero pianta in ombra nella terra secca, quando arrivò il Giardiniere di Dio a nutrirmi di aria, di sole e acqua santa.

Divenni fusto forte e carico di frutti, lussureggiante persino,
le radici grasse, salde, gravide di vita.

Divenni Pianta di Dio,
straripante di linfa e nutrimento per chi si addolcisce ai morsi dei frutti e si ridesta nella luce

Amelia De Simone – 9 giugno 2019

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Sono povera

Sono povera

 

Sono povera, ho addosso tutti i vestiti laceri dei morti per fame, di freddo, di lame, di gelosia, di mare maligno, di coste aride, di tesori saccheggiati.

Sono povera, ho le pieghe amare sul viso di chi é stato umiliato, derubato, sfiancato, sfruttato.

Sono povera, non posso che piegare la schiena sotto il sole cocente o tendere la mano ai passanti frettolosi, non posso che passare i giorni senza contare i minuti, il denaro, gli anni rubati, le speranze senza più luce.
Sono povera ma ho voce, la voce di chi canta per sé e per chi voce non ha, solo grandi occhi e fame di nuova vita.
Sono povera ma ricca di parole come mandorle amare, di fiato furente per scarnificare chi depreda, chi deruba, chi s’arricchisce sul costato dei cristi inchiodati al legno

  • Amelia De Simone
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Quel che mi sorprende

Quel che mi sorprende

Quel che mi sorprende
é ritrovare nella tua carne e nel respiro che mescoli al mio,
il mare, i vicoli, l’erba,
gli odori dell’infanzia, il vocío allegro di giovani donne in strada,
la luna, la gente in festa, il sonno che ristora, un ballo che non finisce mai,
Una musica gitana, un fiore che odora di sole, i disegni degli dei,
un vecchio quaderno di appunti, un vestito
troppo corto, l’indignazione per i soprusi,
cioccolato amaro e zenzero candito, mani intrecciate, un soffio di vento, i marosi, la malinconia, la meraviglia di amare con innocenza, la voglia di raccontarmi e contare le mie ossa.

Mi sorprende che tu possa aprire i miei  occhi ai bagliori senza bruciarli, mi sorprende che tu predìca e voglia contare tutte le mie vittorie, che tu sappia ciò che io non so, mi sorprende  ritrovare nella tua carne e nel respiro che mescoli al mio il mondo visibile e invisibile

Amelia De Simone – 29 luglio 2018

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Quanti anni ha

Quanti anni ha

Quanti anni ha un pezzo di costato,
Un pezzo d’anima andati via

Quanti anni ha un pezzo di cielo cancellato,
Un fiore senza colpe sradicato a forza.

Quanti anni ha chi ti riempie di vuoto il cuore,
Chi parlava con gli occhi ai tuoi occhi.

Quanti anni ha una vita colma della tua assenza,
Un ricordo senza riposo di quanto siamo stati sangue di sangue.

Quanti anni ha chi si é assentato da questo mondo,
Chi s’è fatto oltre, senza verbo e senza il tocco che creavano ristoro

(Io ti penso farfalla, che vola leggera, le ali piene di vita, la luce il tuo destino, per non cedere alle vertigini senza fine)

Amelia De Simone

Alla mia amatissima sorella Beatrice

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